“Si è capito che io vado avanti solo con il Sì? E che se perdo mi dimetto, perché non ho nessuna intenzione di restare a Palazzo Chigi per farmi rosolare da quelli là?”. Backstage della Leopolda. Nel cuore di un privé improvvisato, Matteo Renzi detta la linea ai centurioni. La camicia bianca è zuppa di sudore, ma lo stringono comunque fin quasi a soffocarlo. Dal palco, colpevole di manovrare per un “governicchio”. Ha avvicinato di un altro passo la scissione dei suoi nemici interni. Quanto a se stesso, è deciso a dimettersi in caso di sconfitta. Non può dirlo pubblicamente, perché ha deciso di “spersonalizzare” il 4 dicembre, ma mai accetterà di farsi “rosolare”. Ed è questa, assicura, l’unica strada per garantire al Pd – e al renzismo – un futuro alle prossime politiche. Certo, potrebbero tentare di costringelo a un rapido “traghettamento” verso nuove elezioni. Ma lui potrebbe essere costretto a concedere al massimo un breve sostegno (fino a maggio) a un’altra soluzione – “alla Padoan” – e costruire proprio su questa “distanza” la campagna elettorale. Candidamente, lo conferma anche Guelfo Guelfi, amico del leader e renziano nel cda Rai: “Vedrete, se perde Matteo si farà da parte, riformerà l’esercito e ci porterà ad elezioni. È questa la nostra finale di Champions, non il referendum. Sì, certo, senza Bersani e i suoi. È quello che aspettiamo da sette Leopolde…”.
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