Sono appena passate le tre di notte, e Asier Martinez sta staccando dal turno di sorveglianza. Il buio del ponte di comando è spezzato dai bagliori degli schermi dei radar. I soccorritori siedono silenziosi, una radio passa musica rock d’annata. Tutto intorno, la notte scura e ventosa del Mediterraneo centro-meridionale. Quando il telefono squilla, gli sguardi si appiccicano a Michele Angioni, marinaio, fra i pochi italiani a bordo della Golfo Azzurro. “E’ il centro di coordinamento della Guardia Costiera italiana, abbiamo un target, a un’ora da qui”. Pochi minuti, e il messaggio arriva sottocoperta, rimbalza di letto in letto fra i 18 membri dell’equipaggio, inclusi due giornalisti. “Hanno chiamato che erano a quattro miglia dalla costa, li stiamo rintracciando”, dice Angioni al resto del gruppo. Mezz’ora dopo si ha una prima posizione. I motori della Golfo Azzurro, la nave con cui la ong spagnola Proactiva Open Arms svolge operazioni di ricerca e salvataggio a largo della Libia, dal dicembre 2016, vanno a pieno ritmo. Angioni indica una macchia sul radar: “sono loro, viaggiano a circa 5 nodi, fra poco saranno fuori dalle acque libiche”. Martinez, che nella vita lavora per una multinazionale delle costruzioni, ma ha in tasca un brevetto di soccorso in mare e con elicotteri, è pronto in muta integrale, frontalino e casco illuminato. I due gommoni semirigidi si staccano dolcemente dalla Golfo Azzurro.
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