La furia iconoclasta di una rabbia che cova sotto la cenere di movimenti sopravvissuti malamente al crollo delle ideologie, sfoga sui simboli la propria inconcludenza. È accaduto ancora ieri sul lungotevere Arnaldo da Brescia: vittima un quadrato di marmo, la lapide che ricorda Giacomo Matteotti, ucciso dalla violenza fascista agli albori del ventennio.La lapide era stata sistemata nel 2004, nell’ottantesimo anniversario dell’omicidio.Sarebbe sbagliato liquidare la faccenda come un puro atto di teppismo e di volgare violenza urbana. Perché dietro quel gesto insulso c’è la stessa ferocia priva di progetto che spinge gruppetti di sedicenti neofascisti a provocare una rissa, per futili motivi, direbbero i verbali di polizia, e accanirsi contro un ragazzo come accaduto qualche mese fa a piazza Cavour. Medesima non ragione nella scelta di vilipendere ancora, quasi fosse il cadavere, la lapide che celebra l’omicidio di Pierpaolo Pasolini a Ostia.Episodi che fanno il paio con la ricomparsa dei simboli più orrifici del passato, ovunque in giro per Roma, accanto a quelli mai cancellati, a perenne memoria della violenza dei Settanta.
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